TEATRI SOTTO IL CIELO MEDIALE

febbraio / aprile 2015
Ridotto del Teatro Metastasio

CICLO DI INCONTRI
a cura di Teresa Megale

Il ciclo d’incontri parte dalla frantumazione dell'idea della memoria del teatro che sotto il cielo mediale contemporaneo si fa letteralmente a pezzi e il suo oggetto si può ricostruirlo solo con l'ausilio di più media, con la parola ma anche oltre la parola, con il libro scritto, con il video, l’audio, l’immagine.

Gli incontri, ai quali partecipano gli autori, si svolgono presso il Ridotto del Teatro Metastasio e sono a ingresso libero.


PROGRAMMA

> Venerdì 6 febbraio ore 17.00

LAURA MARIANI
«Quelle dei Pupi erano belle storie». Vita nell'arte di Pina Patti Cuticchio
Liguori editore, Napoli, 2014

Laura Mariani ci offre un affresco che potrebbe essere la sintesi fra la descrizione dettagliata del mondo popolare di Brueghel e il sogno fantastico di Chagall. È raro che in un libro scientifico la ricerca si coniughi così felicemente con la passione nei confronti dei personaggi e dello scenario in cui essi sono studiati. Il lettore viene trasportato nell’universo dei pupi, come se questi entrassero nella vita quotidiana, mentre le persone reali sono proposte in un’atmosfera magica, quasi fossero personaggi dell’Opera. Prende corpo un palcoscenico dove a tratti sembra smarrirsi il confine tra finzione e realtà; dove, se il denominatore comune è l’arte, l’atmosfera dominante è quella della fantasia. Su questo sfondo si staglia, quasi nume tutelare, Pina Patti: bambina stupita del mondo nella Palermo povera, andata sposa quindicenne a Giacomo Cuticchio e madre di sette figli, infine pittrice. Artista straordinaria con il gusto della sperimentazione e donna notevole per un’autonomia vissuta con naturalezza. Molta parte della sua bellezza è racchiusa in questo invito, a sé e agli altri: «La vita è un sogno, bisogna sfruttarla».  
Sergio Reyes



> Venerdì 27 marzo ore 17.00

CESARE GARBOLI
Tartufo
a cura di CARLO CECCHI
Adelphi, Milano 2014

Ognuno ha un suo classico, ha detto Garboli, cioè «un compagno di veglia, un segreto e inseparabile interlocutore». Il suo, non c’è dubbio, è stato Molière, cui ha dedicato, nel corso di oltre un trentennio, memorabili saggi e rivoluzionarie traduzioni, sino a diventarne «interprete accanito e quasi maniacale». Sempre, occorrerà aggiungere, in un’ottica acutamente teatrale. Non a caso, radunando nel 1976 cinque testi molieriani, Garboli sottolineava di voler offrire «cinque copioni al teatro italiano di oggi, nella presunzione che il teatro di Molière sia portatore di un sistema di idee, di un messaggio che ci è oggettivamente contemporaneo». Epicentro di quel sistema di idee è per lui Tartufo, oltraggiosa figura di servo che – infrangendo «l'antica, dura legge teatrale che fa dell'intelligenza dei servi un privilegio infruttuoso» – si cimenta nell'impossibile impresa di farsi padrone, e che dalla servitù si libera «con l'esercizio salutare, rassicurante, medico della politica»: sicché la pièce altro non è se non la «diagnosi comica e disperata della struttura politica della realtà, mascherata di valori intoccabili che si autolegittimano grazie alla santità di una causa e si presentano come la guarigione di un male». Ma rileggere gli scritti di Garboli sul Tartufo non significa solo ripercorrere la storia di un febbrile corpo a corpo con Molière: signi¬fica, soprattutto, riscoprire la più energica, spavalda, elettrizzante prosa critica del Novecento. Quella di un seduttivo, stregonesco «critico attore», giacché l'attore «esegue un testo come si esegue una partitura, o una vita»
Carlo Ginzburg



> Venerdì 24 aprile ore 17.00

GUIDO ACAMPA e GABRIELE FRASCA
Nei molti mondi
videodramma a spettatore unico ispirato a Philip K. Dick
musiche originali di Nino Bruno e Massimiliano Sacchi
Luca Sossella Editore, Roma 2014

Un dvd con un videodramma, un radiodramma dei ResiDante e musica da ascoltare e scaricare in occasione della videoinstallazione presso il Museo di Antropologia di Firenze

Nel dicembre del 1980 apparve su Playboy un testo che colpì a tal punto i lettori, che finì per essere votato come uno dei migliori contributi dell’anno. Era un racconto strano, di un genere ritenuto minore, e praticato con parsimonia persino dalla rivista, che nel corso della sua lunga storia aveva difatti ospitato, intorno all’attesissimo inserto color carne sempre meno proibita, non pochi autori assolutamente rispettabili della scena letteraria americana. Certo, un minuto drappello di scrittori accreditati alla science fiction vi aveva talvolta fatto capolino, se non altro coi suoi nomi più ripuliti, e persino uno degl’indiscussi capolavori del genere, Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, vi era in verità nel 1954 apparso a puntate, a soli tre mesi dalla nascita dell’allora controverso mensile.
Ma lo scrittore invitato in quell’occasione a collaborare, sebbene avesse già avuto modo di constatare l’attenzione crescente che soprattutto la Francia tributava alla sua opera, e potesse vantare di essere stato insignito del premio Hugo già nel 1963, non godeva di buona fama in patria, dove i suoi romanzi e le sue raccolte di racconti circolavano in edizioni pulp destinate a un pubblico per lo più di adolescenti. Come se non bastasse, correvano voci sul suo conto poco rassicuranti: che fosse completamente dedito agli stupefacenti, per esempio, e che in più di un’occasione avesse dato completamente di matto, oltre ad aver visto Dio. Era pur vero che l’autore più rinomato del genere dell’altro blocco, Stamislaw Lem, l’aveva definito l’unico scrittore che valesse la pena di leggere fra tanti ciarlatani; e certo non era sfuggito ai critici più avvertiti quanto persino il misterioso Thomas Pynchon, i cui romanzi erano in cima alle letture nelle università del paese, gli dovesse qualcosa. Ma le due circostanze, al più, potevano valergli solo ad aggiungere la taccia di radicale e comunista alla già conclamata nomea di drogato e psicopatico.
Quando dunque Playboy comprò I Hope I Shall Arrive Soon, a Philip K. Dick non sarà parso vero di doppiare, dopo appena due mesi, la prima uscita di tutta la sua lunga carriera su una pubblicazione periodica ritenuta prestigiosa. Rautavaara’s Case, difatti, altro racconto tutto cerebrale sospeso fra la vita e la morte, era apparso a ottobre su Omni, rivista patinata di divulgazione scientifica. Qualcosa insomma stava accadendo nella vita di un autore che era in verità appena riemerso da una sua personalissima stagione all’inferno. All’inizio dell’anno successivo, a conclamare la svolta popolare, gli si sarebbero spalancate persino le strade per Hollywood, esattamente al primo ciak del film che avrebbe infine contribuito a consacrare la sua fama, Blade Runner. Ma Dick fece in tempo a vederne appena un po’ di girato, sostanzialmente gli effetti speciali, che gli piacquero molto, così come si sa quanto l’avesse irritato la prima sceneggiatura. Le cose però andarono come andarono, e neanche gli fu data la soddisfazione di sedere fra tante star alla prima del 25 giugno del 1982. Philip K. Dick, minato nel fisico da una vita dedita alla farmacopea sperimentale, sarebbe morto d’infarto il 2 marzo di quello stesso anno.
Nei molti mondi, videodramma a spettatore unico di Guido Acampa e Gabriele Frasca, con le musiche originali di Nino Bruno e Massimiliano Sacchi, è un omaggio al più visionario autore della science fiction. Un’ora e venti d’immersione totale nei peggiori dei mondi possibili.
Gabriele Frasca

06.02 / 2015 17.00
27.03 / 2015 17.00
24.04 / 2015 17.00

INGRESSO LIBERO