Deflorian/Tagliarini

Il cielo non è un fondale

Spettacolo

Il cielo non è un fondale

 

Quando siamo dentro casa e fuori piove cosa pensiamo dell’uomo che fuori è rimasto sotto la pioggia?
Per un lungo periodo abbiamo trasformato il mondo nella nostra casa di campagna o nella seconda casa al mare: il suo fuori, la sua esteriorità, non era altro che vacanza nel senso più proprio del termine – un vuoto che si apriva dentro di noi, una fuga dall’abitudine, dalla noia e dallo stress della vita che solitamente conduciamo dentro, tra le pareti, a un tempo angosciose e rassicuranti, delle case, tra quelle degli uffici, tra quelle dei cinema e dei teatri; persino la strada e la città, diceva il Benjamin dei Passages parigini, rappresentano dei salotti per il borghese europeo, mentre il suo intérieur si sporge sul mondo come un palco all’opera. Viviamo tutti in quella condizione che, secondo Albert Camus, consiste nello “scambiare la vita interiore per la vita di interni”. Quando vediamo in televisione i profughi sbarcare con i loro mezzi di fortuna sulle spiagge del Mediterraneo la nostra prima reazione è di sconcerto: nel profugo incappucciato che per tutto territorio ha il proprio corpo vediamo insorgere il fantasma di una nuda vita da cui pensavamo di essere usciti, ma la stessa sensazione, lo stesso transfert, ci attanaglia davanti al barbone che dorme all’angolo della nostra strada, al vecchio che arranca con le buste della spesa, alla stessa scoperta, nel barlume di un secondo, della precarietà dei nostri privilegi. Da questi “spettacoli” la nostra intimità si sente minacciata: con la nudità dell’uomo senza casa o senza cittadinanza non abbiamo relazioni, per quanto vicino si possa manifestare è sempre troppo lontano, il suo ingresso nel recinto del nostro spazio ci allontana immediatamente da noi stessi, almeno nell’immaginazione, ci espone nella sua esposizione. Questo cielo che pensiamo ci protegga, verso il quale solleviamo lo sguardo con nostalgia, si rovescia su quell’uomo solo con la glaciale freddezza di una grandinata e in quei momenti non è la sua casa, ma la sua prigione.
Il cielo non è un fondale, nonostante la negazione del titolo, vuole rafforzare il dialogo tra lo spazio della finzione e lo spazio esterno, il reale. È un dialogo sempre più necessario. Respiriamo a fatica l'aria da training e da improvvisazioni della sala prove dove dopo un po’ la vita è altrove. Proviamo a rompere queste pareti. Tutte, non solo la benedetta quarta che ossessiona il teatro, rompiamole come primo gesto, come gesto di ingresso sulla scena. Stiamo fuori di noi. La vita collettiva ci decifra.
“Quando scrivo non ho l’impressione di guardare dentro me stessa, guardo in una memoria. In questa memoria vedo delle persone, vedo delle strade, sento delle parole e tutto questo è fuori di me” ha detto Annie Ernaux in una intervista. L’opera di questa scrittrice ci ha guidato nella nostra indagine, permettendoci di osservare, decifrare e restituire quella continua osmosi tra dentro e fuori, quei continui spostamenti di senso tra quello che noi siamo e quello che ci succede attorno.

 

Premio Ubu 2017 a Gianni Staropoli per il miglior allestimento scenico

 

Quando siamo dentro casa e fuori piove cosa pensiamo dell’uomo che fuori è rimasto sotto la pioggia?
Per un lungo periodo abbiamo trasformato il mondo nella nostra casa di campagna o nella seconda casa al mare: il suo fuori, la sua esteriorità, non era altro che vacanza nel senso più proprio del termine – un vuoto che si apriva dentro di noi, una fuga dall’abitudine, dalla noia e dallo stress della vita che solitamente conduciamo dentro, tra le pareti, a un tempo angosciose e rassicuranti, delle case, tra quelle degli uffici, tra quelle dei cinema e dei teatri; persino la strada e la città, diceva il Benjamin dei Passages parigini, rappresentano dei salotti per il borghese europeo, mentre il suo intérieur si sporge sul mondo come un palco all’opera. Viviamo tutti in quella condizione che, secondo Albert Camus, consiste nello “scambiare la vita interiore per la vita di interni”. Quando vediamo in televisione i profughi sbarcare con i loro mezzi di fortuna sulle spiagge del Mediterraneo la nostra prima reazione è di sconcerto: nel profugo incappucciato che per tutto territorio ha il proprio corpo vediamo insorgere il fantasma di una nuda vita da cui pensavamo di essere usciti, ma la stessa sensazione, lo stesso transfert, ci attanaglia davanti al barbone che dorme all’angolo della nostra strada, al vecchio che arranca con le buste della spesa, alla stessa scoperta, nel barlume di un secondo, della precarietà dei nostri privilegi. Da questi “spettacoli” la nostra intimità si sente minacciata: con la nudità dell’uomo senza casa o senza cittadinanza non abbiamo relazioni, per quanto vicino si possa manifestare è sempre troppo lontano, il suo ingresso nel recinto del nostro spazio ci allontana immediatamente da noi stessi, almeno nell’immaginazione, ci espone nella sua esposizione. Questo cielo che pensiamo ci protegga, verso il quale solleviamo lo sguardo con nostalgia, si rovescia su quell’uomo solo con la glaciale freddezza di una grandinata e in quei momenti non è la sua casa, ma la sua prigione.
Il cielo non è un fondale, nonostante la negazione del titolo, vuole rafforzare il dialogo tra lo spazio della finzione e lo spazio esterno, il reale. È un dialogo sempre più necessario. Respiriamo a fatica l'aria da training e da improvvisazioni della sala prove dove dopo un po’ la vita è altrove. Proviamo a rompere queste pareti. Tutte, non solo la benedetta quarta che ossessiona il teatro, rompiamole come primo gesto, come gesto di ingresso sulla scena. Stiamo fuori di noi. La vita collettiva ci decifra.
“Quando scrivo non ho l’impressione di guardare dentro me stessa, guardo in una memoria. In questa memoria vedo delle persone, vedo delle strade, sento delle parole e tutto questo è fuori di me” ha detto Annie Ernaux in una intervista. L’opera di questa scrittrice ci ha guidato nella nostra indagine, permettendoci di osservare, decifrare e restituire quella continua osmosi tra dentro e fuori, quei continui spostamenti di senso tra quello che noi siamo e quello che ci succede attorno.

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TOURNÉE STAGIONE 2017/2018

BASSANO DEL GRAPPA (VI), Teatro Remondini
1 settembre 2017

LUGANO (CH), Sala Teatro LAC
6 ottobre 2017

MODENA, Teatro delle Passioni
21 ottobre/5 novembre 2017

BOLOGNA, Arena del Sole
21/26 novembre 2017

MONTPELLIER (F), Thèâtre La Vignette
28/29 novembre 2017

RAVENNA, Teatro Rasi
15 febbraio 2018

TRENTO, Teatro Sociale
17 febbraio 2018

MILANO, Teatro Studio Melato
2/6 maggio 2018

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TOURNÉE STAGIONE 2016/2017


SVIZZERA-LAUSANNE, Théâtre Vidy, Salle René Gonzalez
16/20 novembre 2016

ROMA, Romaeuropa festival, Teatro India Sala A
23/27 novembre 2016

FRANCIA-PARIGI, Odeon Théâtre de l’Europe e Festival d’Automne à Paris, Atelier Berthier
9/18 dicembre 2016

FRANCIA-MULHOUSE, La filature
13 gennaio 2017

PRATO, Teatro Fabbricone
7/12 febbraio 2017

CAGLIARI, Teatro Massimo
23/26 febbraio 2017

SVIZZERA-LUGANO, Teatro Foce
24/25 marzo 2017

FRANCIA-TOULOUSE, Théatre Garonne
26/29 aprile 2017

BOLOGNA, Arena del Sole
3/7 maggio 2017

MONCALIERI (TO), Fonderie Limone
8 giugno 2017

Fabbricone

via Ferdinando Targetti, 10/12 59100 Prato (PO)
tel. 0574.690962