L’arte invisibile. Radiodrammi, melo-radio e gallerie di varia umanità

La maledizione

Piccolo viaggio senza ritorno, guardando da lontano il Rigoletto di Giuseppe Verdi. Buffone (4° puntata)

La maledizione

Con Francesco Pennacchia, attore di tutte le commedie immaginabili, vivo organismo marziano, spingeremo prepotentemente nella direzione della trasformazione. “Trasformazione è la rotta che permette di abbandonare un’isola per raggiungerne un’altra”. Si approda a nuovi lidi, ed altri linguaggi, con l’unico obbligo di dimenticare l’isola di partenza, che rimane peraltro cristallina nella sua origine. Ascolteremo come un attore dalle incontrollabili doti mimetiche può trasformare la poesia lirica di un buffone inventato, nella prosa dialettale e grammelotica di un giullare vero, pronipote degli Osci, un Dossenus, il gobbo astuto delle Atellane. I Buffoni altro che provar non possono. E dal momento che sempre Rigoletto dall’alto veglia, speriamo bene.

Radiodrammi e adattamenti radiofonici, divagazioni artistiche sul Rigoletto e serate di varietà radiofonico compongono il programma di produzione originale che ha intrapreso quest’anno la Fondazione Teatro Metastasio con il suo Gruppo di Lavoro Artistico per Rete Toscana Classica. Una novità assoluta, anche sul piano nazionale, che contribuisce a recuperare e rinnovare una ricca, ma troppo spesso dimenticata, tradizione di composizione artistica pensata appositamente per la radio. In questi ultimi mesi, passati tra chiusure forzate e ripartenze zoppicanti, in molti hanno riscoperto il piacere dell’ascolto. L’arte prodotta dalla radio è invisibile, ma se ci si lascia incantare dalle voci, dalla musica e dalle parole, può smuovere profondamente l’immaginazione. La primavera della radio soffia su Prato.

di Claudio Morganti e Rita Frongia

regia Claudio Morganti

voci Claudio Morganti e Francesco Pennacchia

una produzione del Gruppo di Lavoro Artistico del Teatro Metastasio

musiche di Giuseppe Verdi

registrazione e postproduzione Andrea Benassai

dal progetto L’arte invisibile. Radiodrammi, melo-radio e gallerie di varia umanità

a cura di Rodolfo Sacchettini

in collaborazione con Rete Toscana Classica

03.02 / 2021 18.40

Buffone (4° puntata)

personaggi: RIGOLETTO

Mi chiamo Rigoletto e vi affido i miei pensieri.
Talvolta trovo bello il colore di un fiore ma solo se Gilda è al mio fianco, la mia unica figlia diletta.
Altre volte mi rivedo in una formica quando perde il carico e lo recupera, lo riperde e lo recupera, ho la stessa solerzia nell’odiare gli uomini.
Sono pari a un sicario, lui il pugnale, io la lingua. Vorrei entrarvi nelle ossa e gioire mordendo, invece io deggio far ridere.
Sono deforme, malato e buffone, tre volte dannato, maledetti! Voi belli, voi ricchi, maledetti! Voi senza gobba.
Il mio scontento è il più lungo degli inverni, il mio sarcasmo è pari alla mia disgrazia, la saliva è come acido, se muovo le membra è dolore.
Sono gobbo e mi farò tigre, sono giullare e mi farò carnefice: io smetterò di farvi ridere, di leccare i vostri piedi e - se Iddio vorrà - vi divorerò il cuore.
Questa è la mia maledizione.

testo di Rita Frongia

RIGOLETTO

PLOT: Un padre infelice piange il disonore della figlia, un buffone di corte lo deride, il padre scaglia una maledizione, la maledizione si avvera.

ATTO I

Rigoletto è un uomo deforme, fa il buffone per mestiere alla corte del Duca di Mantova e odia il duca perché è Duca, odia i signori perché sono signori e odia tutti quelli che non hanno una gobba sulla schiena. Ama solo Gilda, la figlia, che tiene nascosta agli occhi di tutti; quando Rigoletto rientra a casa, si nasconde sotto un mantello scuro perché nessuno sappia che lui è padre. Gilda non sa che il mestiere di Rigoletto è fare il buffone, Gilda non conosce neanche il suo nome.

Padre, io non so come vi chiamate Che importa il mio nome, dice lui Ditemi almeno il nome di mia madre.

Ma Rigoletto tace perché vuole proteggerla, custodirla come un’opera, ha paura dei cortigiani che ogni giorno schernisce con crudeltà, teme quelli che lo temono, il loro odio, conosce il male, lui che è così malvagio, lui che incita il duca di Mantova alla tirannìa, gli indica le mogli dei cortigiani da sedurre, lo spinge al vizio, in pratica, lo aizza come un cane.

La storia comincia durante una festa nel Palazzo Ducale di Mantova (tante tragedie cominciano con una festa), il Duca parla con un certo Matteo Borsa,  gli racconta di una donna che abita in un remoto calle dove un uomo misterioso entra ogni notte, dice che lui vuole questa donna ma ecco che entra nella sala la Contessa di Ceprano, e dato che Questa o quella per me pari sono il Duca, davanti agli occhi del marito, le porge il braccio e si allontanano, mentre Rigoletto schernisce il Conte, che avete in testa signor di Ceprano?

Intanto come ad ogni festa, ci sono quelli che stanno in disparte, fanno capannello intorno a Marullo che rivela: Rigoletto ha un’amante, il gobbo si è trasformato in Cupido.

Così, per vendicarsi degli scherni subiti e con grande entusiasmo del Conte di Ceprano, decidono di rapire Gilda, colei che credono la sua amante.

Mentre una folla di danzatori invade la sala e tutti cantano tutto è gioia, tutto è festa, irrompe furioso un guastafeste, il Conte di Monterone che accusa pubblicamente il Duca di avere sedotto sua figlia. Rigoletto lo deride, gli fa il verso. Il Conte allora guarda il Duca negli occhi e lo maledice, poi si volta verso Rigoletto, lo chiama serpente, gli dice tu che di un padre ridi al dolore, sii maledetto. Rigoletto prova orrore e terrorizzato scappa.

La maledizione è stata pronunciata. La maledizione.

Rigoletto, sulla strada verso casa, incontra il sicario Sparafucile che gli offre i suoi servizi. È un dialogo di silenzi e frasi abbozzate, sono un uomo di spada dice Sparafucile, un uomo che ti libera da un rivale. Rigoletto rifiuta l’offerta e osserva il sicario allontanarsi: pari siamo, io la lingua e lui il pugnale.

Considera la sua sventura, è obbligato a fare ridere mentre vorrebbe piangere per esser deforme, per esser buffone e ora c’è pure lo spettro della maledizione.

Quando Rigoletto rientra a casa, Gilda lo accoglie all’esterno, si butta letteralmente fra le sue braccia, lo implora di dirle il suo nome, il nome della madre, la sua storia, gli dice padre, non avete patria, parenti amici? Tu sei il mio universo, risponde il padre. Gilda vorrebbe uscire da casa, è lì da mesi e non ha mai visto Mantova, ma Rigoletto è irremovibile e si raccomanda con Giovanna, la governante, di non aprire la porta a nessuno e in nessun caso.

Ma il Duca è già lì, sta nascosto a spiare la scena e quando Rigoletto va via, si finge un povero studente, si inginocchia davanti a Gilda e le dichiara il suo amore.

Altri uomini si aggirano nei dintorni, sono i cortigiani che vogliono rapire Gilda e - per un destino beffardo - coinvolgono anche Rigoletto che incontrano in zona. Gli dicono che devono rapire la Contessa di Ceprano e lui partecipa con entusiasmo.

È buio, lo bendano con la scusa di fargli indossare una maschera, gli fanno reggere la scala e con il suo cieco aiuto, rapiscono Gilda.

Quando Rigoletto rimane solo, comprende la verità e in lui risuona forte la maledizione di Monterone.

(Ah, la maledizione).

 

ATTO II

Il Duca sta cercando Gilda ma non la trova, i cortigiani gli dicono di averla rapita, il Duca è felice perché Gilda viene condotta nelle sue stanze.

Rigoletto rientra a Palazzo, finge indifferenza, tutto osserva e scruta, allude al rapimento con Marullo, gli dice : Stanotte. Ah fu il bel colpo!...

- Ma io ho dormito sempre!

- Ah, voi dormiste!... Avrò dunque sognato!

Lo deridono e comprende che sua figlia è col Duca, allora urla Cortigiani, vil razza dannata e poi confessa che Gilda non è la sua amante, è sua figlia.

Infine, si inginocchia e implora che venga liberata. Gilda ricompare sconvolta, con lo sguardo nel vuoto.

 

ATTO III

Rimasti soli, Gilda racconta al padre come ha conosciuto il Duca, narra gli eventi e Rigoletto la consola, piangi, fanciulla.

In quel mentre passa il Conte di Monterone che viene condotto in carcere, si sofferma davanti a un ritratto del Duca e sospira che la sua maledizione è stata vana:

Poiché fosti invano da me maledetto, né un fulmine o un ferro colpiva il tuo petto, felice pur anco, o Duca, vivrai!

Ma Rigoletto dice No, vecchio t’inganni...

Grida vendetta Rigoletto! Darà l’incarico a Sparafucile di uccidere il Duca. Gilda, anche se ferita e offesa, ama il Duca, così Rigoletto - per mostrarle il suo vero volto - la conduce in una locanda dove può spiare il suo amato che seduce Maddalena , la sorella di Sparafucile.

Gilda vedrà l’amato irridere le donne (la donna è mobile qual piuma al vento) e vedrà il suo amato corteggiare Maddalena.

Rigoletto, per proteggerla, obbliga la figlia a travestirsi da uomo per fuggire a Verona.

C’è un temporale in arrivo, Gilda si è travestita da uomo però non si allontana, torna alla locanda e sente Maddalena implorare il fratello di non uccidere l’uomo che lei ama - il Duca che si finge povero - e di eliminare invece Rigoletto quando arriverà col denaro.

Sparafucile ha una sua etica e non accetta, ha già avuto l’anticipo e poi vuole il resto, decide che aspetterà fino a mezzanotte e se prima dell’ultimo rintocco entrerà qualcuno da quella porta, lui lo ucciderà e il Duca sarà salvo. Gilda, che li spiava, decide di salvare il Duca, si veste da mendicante e bussa alla porta. Verrà pugnalata dal sicario e messa in un sacco. È mezzanotte, Rigoletto arriva alla locanda, prende il sacco, vuole buttarlo nel fiume ma sente dalla strada la voce del Duca che canta la donna è mobile.

Allora apre il sacco e si rende conto che dentro c’è Gilda che esala gli ultimi respiri.

La maledizione urla Rigoletto. La Maledizione di Monterone si è avverata.

testo di Rita Frongia